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TuttiAllOpera • Leggi argomento - GIULIETTA SIMIONATO
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GIULIETTA SIMIONATO

MessaggioInviato: 25/03/2011, 21:24
da Tuttiallopera



Giulietta Simionato, nata a Forlì il 12 maggio 1910, appartiene alla storia del “bel canto” per il suo grande senso del teatro e per l’innata musicalità che l’ha sempre contraddistinta sui palcoscenici del mondo. Dopo essersi messa in luce con le splendide interpretazioni di “Mignon” e “Così fan tutte”, ha saputo cogliere nei vari personaggi le peculiarità di ogni compositore, studiandolo anche dal lato umano.
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Chi non ricorda l’interpretazione lucida ed incisiva ne “Orfeo ed Euridice” di Gluck del 1959, sotto la direzione di Herbert von Karajan con il coro dell’Opera di Stato e l’Orchestra Filarmonica di Vienna. Inoltre della Simionato possiamo sottolineare il carattere aperto e contemporaneamente rigoroso, che dimostra un completo professionismo. Il timbro scuro e drammatico della sua voce ben si adattava ai numerosi personaggi delle opere settecentesche; infatti ne “Il Matrimonio segreto” di Cimarosa nella rappresentazione del 1950 al “Maggio Musicale Fiorentino” sotto la direzione di Ermanno Wolf-Ferrari, la Simionato ha dimostrato il possedere una vocalità agile e discorsiva che metteva in risalto il fresco stile napoletano. Al di là di questi ricordi, non si può dimenticare il repertorio rossiniano che fu uno dei suoi “cavalli di battaglia”. L’interpretazione del “Barbiere di Siviglia” del 1956, sotto la direzione di Alberto Erede con il Coro e l’orchestra del “Maggio Musicale Fiorentino”, riprodotta in disco, dimostra, ulteriormente, la duttilità della sua voce.

Anche la rappresentazione scaligera sempre del “Barbiere” con la direzione di Victor De Sabata nel 1952 ha visto come protagonista una fresca Simionato, la quale è riuscita a rileggere profondamente e con acuto senso del teatro il personaggio di Rosina. Che dire de “Il Trovatore” di Verdi nell’edizione del 1956 sempre per il “Maggio” insieme a Renata Tebaldi oppure in quella del 1964 con la direzione dell’indimenticabile Thomas Schippers per il Teatro dell’Opera di Roma. Tutte preziose testimonianze di un momento magico del melodramma. L’Aida, il Falstaff sono state altre significative interpretazioni che hanno documentato la frenetica attività dell’artista, presente in tutti i più importanti teatri del mondo, invitata per la sua voce dotata di una duttilità rara e sorretta da un’eccellente tecnica. La “Carmen” di Bizet, nella versione scaligera del 1955 con la bacchetta di Karajan, è rimasta scolpita nella letteratura operistica come una delle “Carmen” più tragiche e nel contempo più romantiche e sensuali, un valido ed unico esempio di equilibrio dei sentimenti in questo tormentato personaggio bizetiano.

Anche il periodo verista fu uno dei più amati dalla cantante ed in “Cavalleria rusticana” di Pietro Mascagni troviamo ben disegnati la fierezza e la passione del personaggio che si uniscono in una perfetta osmosi ad un’intensa colorazione della voce. A tal proposito bisogna ricordare la rappresentazione del 1955 alla Scala con la direzione di Antonio Votto. Come si può notare, Giulietta Simionato ha contraddistinto un’epoca, inaugurando un nuovo tipo di rapporto con il palcoscenico, basata sulla fusione della voce con il gesto, studiato, controllato e sostenuto da una preziosa intelligenza analitica. La incontro nella sua bella e accogliente casa milanese in un pomeriggio assolato. Mi colpisce il dinamismo e l’eleganza dei suoi gesti supportati da uno sguardo intenso e penetrante.

La nostra conversazione ha inizio con la tradizionale domanda, alla quale ha risposto migliaia di volte ma che offre al lettore la chiave di lettura del grande personaggio che ha avuto modo di cantare con i più grandi direttori del passato.

A.B.: Come si è avvicinata al mondo della musica e della lirica? G.S.: Non ho avuto nessun esempio o stimolo dalla famiglia, anzi i miei genitori ed in particolare la mamma, di origine sarda, non desideravano assolutamente che diventassi una cantante. Il destino, invece, ha voluto diversamente. L’idea del canto è partita dalle suore del collegio dove studiai, le quali, sentendomi cantare, scoprirono la mia innata vocalità e quindi fecero di tutto per convincere la mia famiglia a farmi studiare musica. Dopo la morte di mia madre, papà cedette alle continue insistenze delle suore ed io, senza rendermi conto dell’importanza della scelta, iniziai questa esperienza.

Quando avvenne il suo debutto?
Nel 1927, con la commedia musicale: “Nina non far la stupida”; ma quegli anni, per me, erano ancora di preparazione. Studiavo a Padova prima con il Maestro Locatello e poi con Palumbo, Maestro di coro. Nel 1933 si tenne a Firenze il Primo Concorso Italiano di canto ed io volevo assolutamente parteciparvi, anche se il M° Palumbo mi diceva che senza raccomandazione era tutto inutile. Al Concorso eravamo in 385 e rimanemmo solo in 18, di cui 3 mezzosoprano ed io fui la vincitrice. Il Maestro Serafin, che faceva parte della giuria, mi raccomandò al Maestro Fabbroni, allora Direttore artistico della Scala, per un’audizione che ottenni, anche se mi dissero che per la Scala ero ancora immatura e che avrei dovuto ripresentarmi dopo due anni. Così feci; dopo un intenso studio con il mio primo Maestro, fui accettata nell’organico del Teatro scaligero. Il contratto aveva delle condizioni impossibili, che io però accettai sino a dopo la guerra, poi nel 1947 mi affidarono il ruolo di protagonista nella “Mignon” che creò il primo successo.

Quale è il personaggio da lei più amato?
Proprio la “Mignon”, perché è l’ideale per le mie possibilità vocali. Anche lo studio dei miei personaggi è sempre stato molto individuale, nel senso che non ho mai chiesto consigli a nessuno. Era tutta una mia preparazione mentale, unita nel caso di personaggi storici allo studio dell’epoca, dei costumi e della figura che dovevo interpretare.

Con quale direttore d’orchestra si è trovata più a suo agio? Sicuramente con Karajan, forse perché tra di noi c’era una forte corrispondenza di musicalità e di sensibilità. Comunque anche con Toscanini mi sono trovata molto bene perché mi trattava in modo molto paterno. Pure con il M° Gavazzeni i rapporti sono stati positivi, poiché riuscì a capire perfettamente il mio carattere e le mie esigenze.

Come avvenivano le prove e la lettura della partitura?
Prima avveniva un incontro individuale con il Maestro al pianoforte, poi, sempre con il solo pianoforte, si provava con tutta la compagnia. Dopo questi primi approcci, si passava alle prove di scena, prima senza e poi con l’orchestra, per arrivare alla prova generale.

Quali colleghi ricorda con affetto?
Quasi tutti, perché sono stati sempre molto comprensivi e pazienti con me, anche se spesso arrivavo tardi. Però sapevano che tutto ciò accadeva non per mia negligenza, ma perché erano momenti in cui ero molto richiesta e quindi sempre in viaggio. Comunque vorrei citare alcuni nomi di artisti che hanno lavorato con me: Del Monaco, Di Stefano, Corelli, Bastianini, Callas, Tebaldi.

Cosa può dire delle nuove voci?
Non è vero che tra le nuove voci non ce ne siano di belle, il fatto è che quelle interessanti vengono rovinate da un insegnamento sbagliato. Oggi esistono prevalentemente voci tremule ed anche ciò non so bene da cosa dipenda, se dalla scuola, dal diaframma, dalle corde vocali o da altro.

Crede nell’insegnamento del canto?
Non credo che si possa insegnare a cantare. E’ un dono di natura. Ciò che invece si può trasmettere ad un allievo è l’educazione al canto, l’impostazione della voce, l’atteggiamento. Proprio per motivi esclusivamente naturali, oggi le voci sono piccole, ci sono mezzosoprano e tenori che non riescono a reggere certe opere che per questa ragione non vengono rappresentate.

Cosa pensa della moda o dell’uso di reinserire nella partitura quelle parti che l’autore stesso aveva tagliato?
Io sono una tradizionalista e quindi credo che si debba continuare come la tradizione ci ha insegnato e questo non vuol dire che non ci si debba evolvere, tutt’altro, ma ciò va fatto senza intaccare lo spirito del melodramma, che non si può rimodernare.

Il nostro incontro termina con l’intensa emozione di avere incontrato un grande personaggio, testimone diretto di un irripetibile momento magico del melodramma italiano.
Grazie, signora Simionato!