I parametri acustici
nell'estetica e nella fisiologia del canto
di Franco Fussi
In La voce del
cantante vol II, Ed. Omega Torino, 2003
In foniatria, si ritiene giustamente che il costante
mantenimento di una corretta funzionalità d’organo
garantisca una buona qualità vocale. E su questo
penso siano certamente d’accordo sia i maestri che i
cantanti lirici. Dobbiamo però ammettere che se
l’espressione canora venisse prodotta ed esercitata
solo secondo criteri funzionali fisiologici non
avremmo più le possibilità espressive e varie che la
vocalità ha invece da sempre saputo creare, né
avremmo assistito alla sua libera evoluzione.
Tra l’altro, chissà perché, ci capita a volte, e
perfino nella lirica, di emozionarci maggiormente
all’ascolto di voci qualitativamente “imperfette”, o
dalle emissioni non sempre ortodosse, rispetto a
esecutori tecnicamente ineccepibili ma, per così
dire, “freddini”.
Il livello segmentale della comunicazione musicale e
della vocalità artistica, quello legato al codice
dello specifico linguaggio, e dunque al
“raziocinio”, sembra dunque non essere sufficiente
alla verità dell’ascolto: il tecnicismo fa
sicuramente la bravura dell’esecutore, e presuppone
una coscienza fisiologica dell’emissione, quindi ha
decisamente una azione preventiva ragionando in
termini foniatrici,
ma l’arte e l’interprete sono un’altra cosa e
prevedono sempre e comunque la presenza del livello
soprasegmentale, l’istinto interpretativo, in questo
caso musicale e vocale. Ritroveremo sempre la
compresenza di entrambe questi elementi di fronte ad
una grande voce, sia pure in diversa misura.
In fondo é proprio uno speculare sbilanciamento nel
rapporto tra questi due fattori che, ad esempio
nella lirica, fece contrapporre i sostenitori di
Renata Tebaldi a quelli di Maria Callas. E forse
proprio per questo Maria Callas resterà la “Voce”
del secolo passato, nonostante le colpe di un
“daimon” inferocito che ha permesso in pochi anni al
suo livello istintuale di prendere un sostanziale
sopravvento e divorarsi la sua originaria perfezione
tecnica e la sua salute vocale. Penso che molto
spesso sia proprio questo a succedere quando un
cantante si “brucia” in pochi anni: c’è un qualche
fuoco interiore istintuale, e non sempre tuttavia
legato alla vocalità, che se lo porta via
sopraffacendo ogni criterio razionale di economia
tecnico-vocale. Ed ancora di più in stili in cui
qualità e correttezza di emissione, in senso
fisiologico, sembrerebbero un optional. Pensiamo
allora a Freddie Mercury, Mia Martini, Judy Garland,
e tanti altri.
Sicuramente in queste vocalità diviene più evidente
come l’adeguare il proprio modo fonatorio ad uno
stile e ai suoi codici non è necessariamente
coincidente con una gestione sempre fisiologica
dell’organo vocale. La corrispondenza tra eufonia
stilistica ed eufonia fisiologica, cioè l’adeguarsi
di uno stile vocale a regole fisiologiche di
normalità ed economia d’uso, non è dunque
obbligatoria.
Ad esempio si ritiene che molte voci del “belting”,
che rappresenta una delle espressioni vocali del
musical americano e del teatro di Broadway,
diventino ben presto voci affaticate e a precoce
insorgenza di patologie delle corde vocali, con
giudizio negativo dei maestri di canto lirico per
questo tipo di vocalità rispetto ai criteri di
eufonia fisiologica; e questo a causa dell’alta
pressione che viene generata sotto le corde vocali
in concomitanza ad una posizione laringea elevata e
a causa del trascinamento del registro pieno con
voce di petto oltre i limiti superiori di ambito
tonale, là dove cioè non viene compiuto, o viene
ritardato, quello che è definito il “passaggio” di
registro dai toni centrali agli acuti. Il tutto
perché questi maestri non considerano che l’eufonia
stilistica di questo genere di vocalità impone quel
tipo di emissione.
Se fisiologia e stile coincidessero, come potremmo
parlare di “fisiologia” della vocalità rock,
caratterizzata da voce graffiata, “sporca”, cioè con
bande di rumore e comportamento aperiodico dell’onda
mucosa, ipercinesia fonatoria, ipertono delle false
corde?
Se dovessimo parlare di una buona emissione vocale
solo in termini fisiologici saremmo costretti a
condannare e bandire ogni segnale caratterizzato a
livello spettrale da diffusione armonica e bande di
rumore, cioè ogni suono che acusticamente perde in
periodicità e sconfina nel rumore, caratterizzato
sul piano esecutivo da modalità di emissione
gridata, graffiata, pressata, con qualità rauca o
soffiata. Quando parlare di bella voce? Quali
fattori acustici tenere in considerazione come range
di normalità per ogni genere di vocalità artistica?
...
Se indaghiamo, secondo protocolli standard, le
caratteristiche acustiche del suono emesso, la
nostra valutazione potrebbe essere aleatoria perchè
potrebbe risultare non rapportabile a criteri di
giudizio che coinvolgono vere e proprie concezioni
estetico-stilistiche.
Ad esempio, nella musica colta occidentale,
“espressioni” quali “bella voce” o “colore omogeneo”
o “l’ideale sonoro-vocale” non si riferiscono
semplicemente alle caratteristiche di una voce
spettralmente priva di bande di rumore con basse
percentuali di perturbazione (quelle che definimao a
livello fisico-acustico jitter e shimmer), o in cui
la gestione delle cavità di risonanza sia teso alla
ricerca di una uguaglianza timbrica su tutta
l’estensione, o di una perfetta fusione percettiva
delle voci di un coro, ma investe criteri valutativi
del bello estetico che hanno a che fare con le
radici della tecnica vocale in oggetto e della sua
evoluzione. Evoluzione estetica che risponde
certamente non solo a storiche necessità
psicoacustiche ma anche a parallele modifiche nelle
abitudini percettive delle ricezione della voce
umana e quindi nel “gusto” del fruitore.
A tale riguardo, per fare un esempio, la letteratura
relativa alla voce cantata suggerisce che alcuni
comportamenti vocali possano essere cambiati negli
ultimi 90 anni di storia fonografica. Ad esempio,
nei cantanti degli anni ‘30, la frequenza del
vibrato era valutata intorno a 6-7 oscillazioni al
secondo e in qualche caso anche più ampia, mentre
oggi viene valutata come normale per frequenze di
oscillazione intorno ai 5-6 cicli al secondo. Tale
cambiamento relativo alla velocità del vibrato
sembra riflettere essenzialmente un cambiamento
nell’estetica, come è analogamente successo anche
per gli strumentisti, ad esempio negli anni ‘40,
riguardo all’abuso di portamento da parte dei
violinisti. Inoltre, nel passato, le variazioni di
ampiezza e di frequenza del vibrato erano più
contenute, quindi percettivamente il vibrato
risultava meno evidente e più stretto, tanto che
all’ascolto a noi oggi appare più simile ad un
tremolo, mentre un vibrato ideale è oggi più lento e
più ampio come variazioni in ampiezza e frequenza.
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Nel XVIII e XIX secolo il timbro aveva
principalmente due compiti: da un lato serviva a far
emergere e risaltare i contorni dei disegni delle
varie voci e scandire la suddivisione formale,
dall’altro era utilizzato come elemento fine a se
stesso per connotare il colore individuale di una
emissione (cioè secondo regole formantiche).
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Caratteristica di una buona voce è tradizionalmente
una buona estensione vocale con buona ampiezza
dinamica di intensità tra i pianissimi e i
fortissimi, misurabile e rappresentabile in quello
che è definito il Profilo Vocale o Fonetogramma.
Prove sperimentali hanno evidenziato che esistono
differenze nei fonetogrammi tra voci maschili e
femminili e tra voci incolte e allenate a riprova
che l’esperienza del canto migliora il controllo
neuromiogenico sull’uso della sorgente glottica. Nei
cantanti allenati, vi è una relativa assenza di
riduzione dinamica di ampiezza sulle frequenze
corrispondenti al passaggio di registro, che si
individua invece facilmente nel cantante alle prime
armi.
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L'articolo è naturalmente molto piu' lungo e
dettagliato....ne ho tratto alcune parti
significative per PROVARE in seguito a collegare
quanto detto qui a quanto "captiamo dall'ascolto"...